martedì 20 novembre 2018

I sogni son desideri? Ma anche realtà



Sono ferma da tanto tempo, ma ho delle ragioni che ora vi spiegherò.
I sogni son desideri, diceva Cenerentola, e sono chiusi in fondo al cuor, ma a volte sta a noi farli diventare realtà. Il problema è che non sempre è facile e la paura spesso ci frena.
Anche io avevo un desiderio in fondo al cuore, che fino a poco tempo fa ho alimentato con queste pagine del blog nel quale vi ho raccontato storie e ricette.
Ma il mio desiderio era quello di farveli assaggiare, questi piatti, di farvi toccare con mano la mia passione. E questo ho fatto.

Non l'ho fatto da sola, il coraggio me l'ha dato una mia carissima amica, quasi una sorella per me, Rita Caletti, la prima persona che ho conosciuto quando mi sono trasferita a Cagliari, ormai trentadue anni fa.
Abbiamo aperto da circa una settimana e ho sempre le mani secche e impastate di qualcosa, i piedi che mi fanno male ma sono felice. E anche Rita.
Vorrei cercare di tenere questo blog perché è un pezzo importante della strada che sto intraprendendo, ma purtroppo non sarà possibile con la stessa frequenza di prima e me ne scuso in anticipo.

Cookinglaura però esiste ancora, la potrete trovare in carne e ossa in via Sassari 56 a Cagliari, da Vilanova - Cucina e dolci.
Si, Vitanova. Perché io e Rita stiamo iniziando una nuova vita lavorativa, e con questo nome facciamo due citazioni importanti: Dante Alighieri, per ricordare da dove proveniamo e cosa abbiamo studiato, e Vanina Sechi, mia zia, perché Vita Nova era il nome della sua galleria a Washington.
Nel nostro locale troverete i suoi quadri ma anche una bellissima installazione di Paola Falconi, fatta apposta per noi.
Venite, vi aspettiamo con un sorriso e quella cucina che avete finora solo letto.
Auguri a Cookinglaura! Auguri a noi!

sabato 29 settembre 2018

Il cappone a casa mia


Il mio pesce preferito è il cappone. Adoro il suo aspetto austero e un po' primitivo, il colore acceso, le spine acuminate. La sua polpa è fantastica: compatta, delicata ma allo stesso tempo saporita. E' un pesce che richiede cotture poco complicate, proprio per mantenerne la struttura e il sapore. Provate semplicemente a bollirlo e a gustarlo con un filo di olio buono e sale. Sarà perfetto, specie se ancora tiepido.
E' uno dei pochi pesci che mi piace cucinare intero perché è buonissima la polpa della testa , per esempio, e la cartilagine delle lische dona agli intingoli una consistenza perfetta.
A casa mia lo si preparava con un sugo un poco piccante, che può essere preparato sia con i pomodori freschi, se siamo in stagione, che con pomodori pelati di buona qualità. E poi poco aglio e poca cipolla e qualche aroma. Si avvicina alle ricette tradizionali sarde, in particolare del cagliaritano, ma non so se sia quella. Il risultato è un piatto non da ristorante nell'aspetto, ma sicuramente nel gusto. Ecco come preparare il miglior cappone della vostra vita.

Cappone alla maniera di casa mia
Ingredienti per 4 persone
2 capponi da 700 gr circa
500 gr di pomodori pelati (o pomodori freschi privati della pelle e tagliati a pezzi grossolani)
300 gr di patate
50 gr di cipolla fresca
1 spicchio di aglio
erbe aromatiche fresche (prezzemolo, origano, basilico)
olio evo
sale, pepeeroncino

Squamare ed sviscerare il pesce, poi tagliarlo in due pezzi. In una parata casseruola far andare dolcemente 4 cucchiai di olio evo con la cipolla tritata il peperoncino e l'aglio intero, aggiungere i pelati, schiacciarli con una forchetta, aggiungere gli aromi e far cuocere a fuoco medio per 5 minuti. Aggiungere sul fondo le patate sbucciate e tagliate a fette di medio spessore poi sistemare in un solo strato il pesce. Salare, coprire con un coperchio e far cuocere per 10 minuti a fuoco non troppo sostenuto. Girare il pesce e muovere delicatamente la casseruola per evitare che le patate si attacchino sul fondo  e lasciar cuocere coperto per altri 10 minuti o finché il pesce non sarà cotto e il sugo leggermente ristretto.
Mangiatelo subito, senza mangiare altro prima, in maniera da sentire tutto il sapore del mare.



martedì 4 settembre 2018

L'estate sta finendo


Il pomodoro è un frutto. Un meraviglioso frutto estivo che però, visto il suo sapore non dolce, è stato ben presto annoverato tra le verdure. A me però piace pensarlo come uno dei più tipici frutti della stagione calda, anche perché riesce sicuramente a dare il meglio di sè.
Non usate pomodori a dicembre. Vengono quasi tutti dall'Olanda (sì, avete capito bene, dall'Olanda, uno dei maggiori produttori di pomodori al mondo!) e non hanno visto un goccio di sole.
E' questo il momento, sia per la varietà che trovate (San Marzano, camona, datterino, cherry, insalataro di campo...) sia per il gusto dolce e profumato in maniera naturale.

A me piace pensare al pomodoro come a uno degli ingredienti più versatili che conosca. Ho elaborato anche una ricetta dolce, perché si presta molto bene anche a questo tipo di preparazioni. Ma oggi voglio dedicargli questa squisita ricetta estiva, adatta per un buffet freddo o un aperitivo: una quiche di pomodoro ed erbe, guarnita con ricotta di capra e fiori. L'unico accorgimento che dovrete avere è il trattamento del pomodoro, che deve essere provato della pelle e della parte acquosa data dai semi. Per il resto è semplicissima . E se non volete preparare voi la pasta brisée, potete utilizzare anche quella pronta, anche se io consiglio sempre di prepararvela da voi.
E allora ecco la mia ricetta estiva, che più estiva non si può. Perché poi l'estate finisce...

Quiche di pomodoro alle erbe e ricotta di capra
Ingredienti per 8 persone
Per la pasta brisée
200 gr di farina 00
100 gr di burro freddo
4 gr di sale
2 cucchiai di acqua fredda

Per il ripieno
6 pomodori San Marzano grandi
2 uova
200 ml di latte
50 gr di parmigiano grattugiato
erbe miste (erba cipollina, maggiorana,  basilico)
sale, pepe

Per guarnire
200 gr di ricotta di pecora o di capra
erbe miste (erba cipollina, maggiorana,  basilico)
fiori eduli secchi
sale, pepe

Per prima cosa preparate la pasta: nel mixer a lame mettete tutti gli ingredienti eccetto l'acqua, fate formare un briciolame e aggiungete l'acqua, terminate velocemente la lavorazione a mano e fatela riposare in frigorifero avvolta nella pellicola per almeno 30 minuti.
Pelate i pomodori immergendoli per 30 secondi in acqua portata a bollore, tagliateli a dadini eliminando i semi e metteteli in un colino perché eliminino tutta l'acqua. Stendete la pasta a 1/2 cm di spessore e foderate una tortiera da 20 cm o sei tarlerete da porzione. Fate in modo che i bordi aderiscano bene.
In una ciotola mescolate le uova, il latte, il parmigiano, le erbe tritate, sale e pepe. Sistemate i dadini di pomodoro sulla base della pasta e coprite con l'appareil (il composto di uova e latte preparato). Fate cuocere in forno caldo a 180° per circa 30 minuti e servite le tarlerete tiepide, guarnite con la ricotta lavorata con sale, pepe ed erbe le restanti aromatiche tritate.





domenica 15 luglio 2018

Il Gazpacho del tio Pepito


Uno dei cugini spagnoli di mia mamma si chiama José, ma noi l'abbiamo sempre chiamato Pepito. Pepito parla benissimo l'italiano perché ha vissuto per otto anni a Cagliari a casa dei miei nonni quando era ragazzo, ha frequentato il liceo Siotto e andava allo stabilimento D'Aquila al Poetto.
E' il più piccolo dei suoi cugini, ai quali tutti noi siamo affezionatissimi: Alfredo, Encarnita, Rafaelin e il tio Fernando, che purtroppo se n'è andato prima del tempo. Solo uno non ho conosciuto, Polin, ma confido di conoscerlo prima o poi.

Con tutti gli altri abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto: loro vengono da noi, noi andiamo da loro e Pepito in particolare ha accolto me e la truppa delle mie amiche quando eravamo giovani ragazze e mio figlio adolescente per imparare sia lo spagnolo che l'inglese grazie alla paziente Val, simpaticissima moglie inglese di Pepito.

Da ciascuno dei miei cugini ho imparato qualche piatto spagnolo. Rafa mi ha insegnato a marinare le acciughe fresche facendo in modo che restino bianche, Encarnita mi ha fatto vedere come si fa la paella, Pepito mi ha insegnato una ricetta particolare per il gazpacho. E Alfredo ci ha portato un giorno in giro per tapas a Cordoba, una meraviglia!

Faccio una mia considerazione su questo piatto, che in estate è sicuramente molto rinfrescante. A me non esalta, mentre in casa tutti ne vanno pazzi. Ma la versione di Pepito è particolare perché non prevede il pane, che secondo me lo appesantisce e lo rende granuloso, e viene filtrato così da ottenere un succo denso di verdure che può essere mangiato con le stesse verdure tagliate a piccoli cubetti oppure con delle tartare di pesce, come ho fatto io oggi. Un'altra cosa: io non metto l'aglio, perché secondo me lo rende indigeribile, ma se volete lo potete aggiungere (io suggerisco non più di uno spicchio piccolo).
Il risultato è un piatto raffinato e molto fresco, che piacerà molto.
Ecco la ricetta di Pepito.

Gazpacho del tio Pepito e tartare di gambero rosso
Ingredienti per 4 persone
20 gamberi rossi medi
1 cetriolo medio
1 peperone verde
5 pomodori perini
1/2 cipolla
aceto di vino bianco
succo di limone
olio evo
sale, peperoncino fresco (se gradito)

Togliete le teste ai gamberi e conservatene due per commensale. Eliminate il budello e tagliate le cose a dadini. Condite i gamberi con sole, pepe, olio e poco succo di limone, poi conservate in fresco.
Nella bocca del frullatore mettete tutte le verdure ben lavate, aggiungete 3 cucchiai di aceto, 3 di olio e cominciate a frullare, aggiungendo poca acqua bene fredda. Frullate bene, aggiustate di sale e aceto, poi passate al colino cinese e fate riposare in frigo per almeno due ore.
In una ciotola versate il gazpacho e sistemate i gamberi. Servite ben freddo.







martedì 26 giugno 2018

Ricordi d'infanzia


Ci sono cibi che ci riportano alla nostra infanzia. I miei ricordi sono fatti di bottarga, saragne pescate da mio babbo e subito fritte, grive (i tordi bolliti e avvolti nel mirto), sugo di pomodoro fresco, ravioli fatti in casa e peschine, le pastine sarde a base di pasta di savoiardo, ripiene di marmellata.
Mi ricordo bene quando mia nonna le portava da Nuoro e per me avevano un sapore celestiale, una tirava l'altra, ero capace di mangiarne una quantità impensabile per il mio peso di allora (a 8 anni pesavo meno di venti chili!).

Con il passare degli anni la passione mi è rimasta, tanto che spesso, se non ho tempo per farle io, compro quelle di una nota azienda dolciaria di Dorgali che comunque ha un ottimo prodotto artigianale.
Ma sapete bene che a me piace preparare le cose da me e quindi le faccio quasi sempre in casa, anche perché sono molto apprezzate dai miei familiari, in particolare dai miei figli, che non hanno mai mangiato una merendina in vita loro.  E questo, piccola parentesi, è accaduto proprio perché hanno imparato da subito ad assaggiare i sapori veri, quelli dei prodotti semplici, privi di conservanti o sapori artificiali.
Ma non vi voglio trattenere oltre, perché ho capito che state aspettando la ricetta, quindi eccola. Considerate che vi serviranno solamente tre ingredienti e venti minuti di tempo. That's all, folks!

Peschine alla marmellata
Ingredienti per 20 pezzi
3 uova
70 gr di zucchero semolato
70 gr di farina
buccia di limone o vaniglia
zucchero a velo
marmellata di pesche o albicocche (o quella che più piace)

Foderate una placca da forno con carta forno e accendete il forno a 175°.
Separate i tuorli dagli albumi e divideteli in due ciotole separate. Dividete in due lo zucchero e versatelo nelle due ciotole. Montate con le fruste elettriche prima i bianchi a neve bene ferma e poi i tuorli finché non diventano ben gonfi e chiari e scrivono in superficie. Mescolate gli albumi ai tuorli con delicatezza ma senza lavorare troppo per non smontare il composto, poi incorporate la farina setacciata in due volte e l'aroma scelto.
Versate il composto in un sac a poche e formate le pastine sulla teglia. Spolverizzate con zucchero a velo abbondante e fate asciugare per un minuto. Infornate le pastine per 8-9 minuti, sfornatele, fatele raffreddare con un coltello separatele dalla carta forno. Farcitele a due a due con la marmellata. Durano 3-4- giorni ben chiuse in una scatola di latta ben chiusa.
Ma dubito che ve ne resteranno dopo poche ore!
















giovedì 7 giugno 2018

Brioche per una colazione da re


Gli impasti sono la mia passione, è evidente. Impastare ha su di me una funzione rilassante e adoro veder crescere l'impasto, sentirne il profumo, osservare gli alveoli che crescono e immaginare come verrà una volta cotto. La lievitazione per me, che sono una persona molto ansiosa, è forse l'unica forma di lentezza che mi piace e non mi mette ansia (lo so, ma non c'è niente che mi metta agitazione come la lentezza!). Alcuni impasti sono più facili, altri meno, come quelli ricchi di grassi, perché possono risultare pesanti se il riposo non è adeguato, quindi bisogna imparare a conoscerli, per non sbagliare. Dovete ricordare solamente una regola: non abbia fretta.

Ieri sera ho desiderato ardentemente delle brioche, che adoro, e le ho preparate in serata per la colazione della mattina dopo. Io le ho mangiate con la marmellata di albicocche che ho appena preparato, ma voi potete assaggiarle con crema, nutella o quello che preferite.
Se siete mattinieri sarà bellissimo preparare questa colazione fragrante e profumata e vi potrete godere un inizio mattina da re. Ecco la ricetta per una decina di brioche. Se vi bastano....

Brioche ricche 
300 gr di farina forte
3 uova
40 gr di burro fuso
4 gr di lievito di birra secco
50 gr di zucchero
un pizzico di sale
buccia grattugiata di 1/2 limone o vaniglia
acqua

Sciogliete il lievito in 50 ml di acqua tiepida. Nella planetaria mettete la farina e tutti gli ingredienti a temperatura ambiente. Azionate l'apparecchio e fate andare per circa 8-10 minuti, facendo incordare l'impasto. L'impasto dovrà avere la giusta consistenza, morbido ma non troppo. Aggiungete poca acqua se ce ne fosse bisogno. Trasferitelo in una ciotola, coprite con la pellicola  e fate lievitare a temperatura ambiente fino a far raddoppiare il volume (serviranno almeno 2 ore).
Trasferite la massa sul piano leggermente infarinato e, senza sgonfiarla, tagliatelo con un tarocco in 8-10 pezzi che sistemerete ben distanziati su una teglia foderata con carta forno. Fate riposare 30-40 minuti, poi coprite con pellicola e mettete in frigo a 4° per tutta la notte.
L'indomani fate riscaldare il forno a 200°, infornate le brioche, che avrete spennellato con tuorlo d'uovo e spolverizzato con zucchero in granella, e fate cuocere per 8 minuti. La cottura non deve essere prolungata se non volete rovinare il prodotto.
Farcitele con marmellata o creme a vostro piacimento.



domenica 29 aprile 2018

Questa fregula è fatta a mano


Questa fregula è fatta a mano. Guardatela bene. E' perfetta; i chicchi sono tutti uguali, perfettamente uniformi, non troppo piccoli né troppo grandi e non è tostata.
Questa fregula è fatta da una persona che è un'altro pezzo di storia della mia vita e della mia famiglia.

Questa persona si chiama Bruna e vive ad Allai, un piccolo, bellissimo paese dell'entroterra oristanese, vicino al lago Omodeo, che vi consiglio vivamente di visitare se no l'avete mai fatto.
Eccola, Bruna, in una vecchia foto, che gioca con me mentre mia nonna Mercedes legge un giornale durante una gita domenicale nel bosco, di quelle che mio babbo amava tanto.


Bruna è un pezzo della nostra famiglia a tutti gli effetti, ha visto crescere me e mia sorella, ci ha voluto bene e ce ne vuole ancora come noi a lei. Ci ha insegnato tante cose: ad essere ordinate (quanto ha combattuto!), ad essere a nostro modo indipendenti fin da bambine nel vestirci e nel pettinarci, a cucinare e tante altre cose che ormai fanno parte integrante di me e mia sorella.

La sua mamma, che io mi ricorderò sempre, preparava delle cose meravigliose: il pane come non l'ho più mangiato e del quale mi ricordo ancora il profumo, la ricotta, cremosissima e delicata, dei ravioli fritti ripieni di mandorla, con la pasta sottilissima che si scioglieva in bocca. Tutti sapori che sono rimasti nella mia memoria e che, sono consapevole, non riuscirò mai a replicare, ma che hanno educato il mio palato al buono.

Bruna prepara una fregula a mano che è un'opera d'arte. Quando ce la regala, la cuciniamo con tutti i crismi, perché è una pasta meravigliosa, che si merita il meglio e la massima attenzione.
Non è tostata, come quella campidanese, e per questo è molto delicata, meno caratterizzante ed esalta il condimento. A me piace molto il sapore di grano che ha e quindi ho pensato a una ricetta che facesse spiccare anch'esso bene e a un condimento di verdure leggere e primaverili, formaggio di capra cremoso  e stagionato, cotta come un risotto con un brodo di finocchietto selvatico a dare un tocco diverso al tutto.

Eccola la ricetta. Purtroppo non avrete la fregola di Bruna, ma quando imparerò a farla anch'io così, ve la insegnerò io.



Fregula con verdure primaverili, formaggio di capra in due consistenze e brodo di finocchietto selvatico
Ingredienti per 4 persone

350 gr di fregula, possibilmente non tostata
200 gr di asparagi coltivati
150 gr di favette medie già sgranate
1 cipollotto fresco
un mazzetto di finocchietto selvatico
un trinchetto di caprino fresco
100 gr di formaggio di capra stagionato
olio evo
fiori eduli per decorare (violette, borragine, malva)

Preparate il brodo facendo cuocere il finocchietto selvatico in 700 ml di acqua per 20 minuti.
Sbollentate per 4 minuti gli asparagi e tagliate le punte, tagliando i gambi a rondelle. Sbollentate per 2 minuti le fave, scolatele, raffreddatele e pelatele.
In una casseruola fate stufare dolcemente il cipollotto fresco tagliato sottile in 3 cucchiai di olio evo, aggiungete la fregula e fatela insaporire leggermente, poi aggiungete il brodo caldo fino a coprire a filo e portate a cottura (dipende dalla fregula che usate, comunque ci vorranno 8-10 minuti), aggiungendo le verdure a due minuti dal termine.
Regolate di sale e mantecate con i formaggi. Servite nei piatti, decorando con i fiori freschi.












giovedì 5 aprile 2018

Le verdure al forno di una food shopping addicted




Confesso di essere una food shopping addicted, e di aspettare il giovedì per andare al mercatino Coldiretti o il sabato per andare al mercato. E' veramente una gioia per gli occhi e per il cuore, nonché per il palato. Il profumo della verdura invade la mia macchina mentre la porto a casa prima di andare in ufficio ed è una passeggiata meravigliosa, che mi rende felice e appagata.
Dopo la Pasqua un po' di leggerezza non guasta. Non so voi, ma io ho sicuramente scantonato, diciamo che non mi sono privata di niente e ora sento il naturale bisogno di mangiare qualcosa di appagante ma leggero.

Vi dò un consiglio che può sembrare banale ma che in realtà non lo è: scegliete sempre le verdure di stagione per i vostri piatti, saranno molto più salutari  e gustosi. Niente melanzane o peperoni in questo periodo, vengono da lontano e costano il triplo. Ma sui banchi del mercato trovate bietole ed erbe selvatiche, cavoli di tutti i tipi, asparagi, favette. Li potete cucinare in mille modi e se non avete tempo, ecco una ricetta che vi permetterà di usare anche quelle verdure un po' avvizzite che si nascondono nei meandri del vostro frigo.  Considerate che questa ricetta è buona con qualsiasi verdura, quindi in estate potete usare melanzane, peperoni, zucchine, ora avete cavoli, zucca, patate, etc...
Se a questo piatto gustoso poi abbinate del riso lessato, avrete un meraviglioso e salutare piatto unico che non vi farà rimpiangere piatti più complessi.

Verdure al forno con erbe aromatiche
Ingredienti per 4 persone
800 gr di verdure miste di stagione (io ho messo broccolo romano, carota, zucchina, cipolla rossa, patata)
erbe aromatiche (io ho messo origano fresco, erba cipollina e aglina, coriandolo)
olio evo
sale, pepe
Tagliate tutte le verdure a pezzi regolari di 2-3 cm. Le verdure non devono essere troppo piccole ma neanche troppo grandi. Se mettete le patate, tagliatele a lamelle sottili (ma non sottilissime, altrimenti si romperanno).
Sistemate tutte le verdure in una teglia senza sovrapporle troppo, conditele con 4 cucchiai di olio, sale e pepe e infornatele a 180° per 30 minuti. Trascorsi 20 minuti, mescolatele con un cucchiaio e lasciatele cuocere ancora per 10-15 minuti.
Una volta cotte, cospargetele con le erbe tritate grossolanamente e  servitele tiepide, accompagnate con riso lessato o in accompagnamento a un piatto di carne.















domenica 18 marzo 2018

La rivincita del maiale



La carne di maiale è sempre soggetta a giudizi contrastanti; è grassa e fa male, le parti magre sono stoppose, è incompatibile con alcune medicine alternative, etc. A me la carne di maiale piace molto e penso che sia sottovalutata e trattata male, a cominciare dalla scelta della qualità della carne stessa, che spesso proviene da grandi allevamenti intensivi, magari esteri, che non fanno bene né all'animale né all'uomo, assolutamente da evitare.

A me invece la carne di maiale piace molto e la uso spesso. Cerco però di trovare allevamenti locali e controllati e di cuocerla con alcuni accorgimenti, o la cottura a bassa temperatura o una cottura ben controllata con il termometro per evitare che si asciughi troppo. Se prenderete il filetto o la lombata, mangerete una carne magra e saporita ma soprattutto molto versatile, adatta anche ad accostamenti particolari e inconsueti come la frutta, le spezie esotiche e fresche, la frutta secca.
Il ragù bianco di maiale poi è squisito, soprattutto se abbinato al finocchietto selvatico, che in questo periodo abbonda in campagna insieme a molte altre meravigliose erbe spontanee.
L'importante è che anche la pasta sia di grande qualità, in maniera da avere un piatto strepitoso in tutti i suoi elementi.

Ecco quindi la ricetta di oggi: malloreddus (io ho usato quelli del http://www.pastificiodeiprofeti.com, un piccolo pastificio artigianale di Capoterra, vicino a  Cagliari, di qualità altissima) con finocchietto selvatico, pecorino tenero e ragù bianco di maiale, un piatto robusto ma non rustico, che esalta tutti i sapori primaverili. Provateci!

Malloreddus al finocchietto selvatico, pecorino tenero e ragù bianco di maiale
Ingredienti per 4 persone
350 gr di malloreddus sardi
1 mazzo di finocchietto selvatico
100 gr di pecorino tenero
200 gr di carne di maiale in pezzo unico (spalla va benissimo)
50 gr di carota, cipolla, prezzemolo tritati
1 pomodoro secco dissalato
vino bianco
sale, pepe
olio evo

Tagliate a coltello la carne in dadini piccolissimi. In una padella fate soffriggere le verdure e il pomodoro secco per 1 minuti, poi aggiungete la carne e fatela rosolare bene per circa 5 minuti a fuoco alto, mescolando sempre. Sfumate con mezzo bicchiere di vino, salate e pepate (attenzione perché il pomodoro secco è sapido!) e fate cuocere per 10 minuti coperto, aggiungendo poca acqua calda se necessario. Spegnete e mettete da parte.
Buttate la pasta e il finocchietto tagliato a pezzi nella stessa acqua e portate a cottura. In una padella versate 4 cucchiai di olio e un mescolino di acqua della pasta ed emulsionate sul fuoco qualche secondo. Aggiungete la pasta molto al dente e terminate la cottura in padella. Spegnete il fuoco e mantecate con il pecorino grattugiato grossolanamente. Impiantate e terminate il piatto con il ragù bianco.












mercoledì 14 marzo 2018

Escabeche Vs Scabecciu (ovvero la mia versione della razza in salsa agrodolce)



Quando ero piccola, con mio babbo pescavamo in tutti i modi: a bolentino, a traina, con le reti. Credo che non si potesse, ma noi qualche volta le gettavamo di sera all'imbrunire a Torregrande (dove trascorrevamo mesi e mesi di vacanze) non lontano dalla riva e la mattina prestissimo le tiravamo sù. Quel momento era bellissimo perché non sapevi mai cosa avresti trovato. A volte non trovavamo niente, ma mi ricordo di una volta in cui erano rimaste impigliate una decina di sogliole fantastiche, alcune veramente grandi. Io rimanevo incantata e cercavo di liberare quei pesci che non stavano mai fermi dalle trame intricate di quella rete.
Mi ricordo di un'altra volta poi, nella quale trovammo alcune razze e io pensai che era un pesce che non serviva a niente. Ma mio padre, da buon cagliaritano, mi disse che erano una prelibatezza e mi fece vedere come prepararle.
Fu lì che nacque la mia passione incondizionata per la razza e poi per il gattuccio (che conoscerò dopo, una volta trasferitami a Cagliari).
Mio padre mi diceva sempre che il pesce meno conosciuto a volte è il più buono ma che la gente tende sempre a comprare spigole e orate, come se non ne esistesse altro. Il pesce povero è ancora oggi quello che mi piace cucinare di più.

Tornando alla razza, vi consiglio vivamente di provare a prepararla: è un pesce magrissimo, senza spine (ha solamente una cartilagine centrale), molto delicato e, elemento non da poco, ECONOMICISSIMO! Circa 5 euro al chilo. Avete sentito bene, 5 euro al chilo. Non ha una resa altissima, ma quale pesce ce l'ha, del resto? E' ottima anche semplicemente bollita e condita con olio di buona qualità  e limone ma, se avete un pò di tempo, potete provare questa mia rivisitazione della burrida di razza oristanese, molto buona e di sicuro effetto. Si tratta di polpettone di razza lessata e finocchietto selvatico e della sua salsa servita a parte. L'ho chiamata come la chiamava mia nonna Mercedes, salsa en escabeche, ma se preferite il sardo, chiamatela scabecciu, la sostanza non cambia. Ecco la ricetta.

Polpettine di razza al finocchietto selvatico e salsa escabeche
Per 4 persone
Per le polpettine
1 kg di razza
1 uovo
50 gr di pane grattugiato
20 gr di pecorino grattugiato
finocchietto selvatico
sale, pepe
olio di arachide per friggere

Per la salsa escabeche
500 gr di pomodori pelati
50 gr di cipolla
1 spicchio di aglio
10 cl di aceto bianco
15 gr di zucchero
20 gr di uva passa
20 gr di pinoli
1 foglia di alloro
olio evo
sale, peperoncino

Salsa: fate imbiondire la cipolla e l'aglio tritati in 3 cucchiai d'olio a fuoco dolce, aggiungete i pelati, schiacciate con una forchetta, poi versate l'aceto e lo zucchero. Regolate di sale e peperoncino e fate cuocere a fuoco medio per 15 minuti. Se possibile preparate la salsa il giorno prima e fatela riposare.
Polpettine: Lessate la razza in acqua fredda salata contando 20 minuti dal bollore. Spegnete e fate intiepidire per un paio di ore il pesce nell'acqua, poi pulitelo estraendo solo la polpa e buttando la pelle e le lische cartilaginee. Tritate il pesce a coltello rendendolo abbastanza fine, versatelo in una ciotola e aggiungete il pane grattugiato, il formaggio, il finocchietto l'uovo, sale e pepe. Formate delle polpette grandi come una piccola noce, passatele nel pane grattugiato e fatele riposare in frigorifero.
Friggete in abbondante olio caldo le polpettine e servitele calde con la salsa a temperatura ambiente.











martedì 20 febbraio 2018

The wild side of the food


Le erbe spontanee sono una mia passione. E' stato mio babbo a insegnarmi a riconoscerle. Certo, non le conosco tutte, ma solamente alcune come la cicoria, le bietole, finocchietto, borragine, crescione e le uso tutte, quando posso. In questo periodo non raro trovarle al mercato, soprattutto la bietola e la cicoria e vi consiglio vivamente di prenderle perché le potete trasformare in piatti favolosi! La mia raccomandazione è di lavare bene, con il bicarbonato, perché non potete sapere dove sono state raccolte ma con questo accorgimento e la cottura non avrete alcun problema.
La ricetta di oggi è deliziosa e allo stesso tempo semplice e adatta alla stagione: una crema di bietole con crostini di pane e formaggio pecorino di giornata, quello fresco. Vedrete, è un'ottimo piatto, da provare subito.

Crema di bietole selvatiche e pecorino fresco
Ingredienti per 4 persone
1 mazzo di bietole selvatiche
1 patata (circa 200 gr)
1 spicchio di aglio
100 ml panna (anche di soia va bene)
peperoncino
sale, olio evo
50 gr formaggio pecorino di giornata
crostini di pane

Lavate bene le bietole, sbucciate la patata e tagliatela a cubetti. In una casseruola fate soffriggere dolcemente lo spicchio di aglio e il peperoncino in 3 cucchiai di olio, aggiungete la patata e la bietola e fate insaporire per 2 minuti. Aggiungete acqua fino a coprire e fate cuocere per 15 minuti, regolate di sale e frullate bene. Solo alla fine aggiungete la panna. Servite calda con i crostini di pane e il formaggio a cubetti.

sabato 13 gennaio 2018

La pasta violata bianca di zia Maria


La pasta delle seadas mi ha sempre affascinata. In casa mia si chiamava pasta violata, non chiedetemi perché e io l'ho sempre immaginata colorata di viola, nella mia mente di bambina. Invece era bianca e me l'ha insegnata zia Maria, la cognata nuorese di mia nonna, che veniva spesso a trovarci, quando non andavamo noi da lei.
Me la ricordo sempre con grande affetto. Zia Maria era una donna bella, fiera, vestita sempre in costume nero, elegantissima. Quasi l'icona della donna sarda tradizionale. Chiamava me e mia sorella Dedè e per noi era bellissimo quando veniva a stare da noi: ci raccontava storie, ci portava libri bellissimi e per noi era come un'altra nonna.
E poi con lei si preparavano un sacco di cose buone. Tutti eravamo mobilitati, portava l'occorrente per fare le seadas, i panetti di formaggio già sciolto e ricompattato per il quale dovevamo preparare la pasta violata con la semola, lo strutto e l'acqua.

E' così che ho imparato a impastare nella maniera giusta, con i giusti movimenti, perché la pasta la dovevi sentire con le mani, che diventavano calde. Quando si formavano delle piccole bollicine, quasi impercettibili, la pasta era pronta e la si poteva stendere.
Oggi le seadas le faccio poco, ma quella pasta la uso per molte cose e ultimamente ho provato a fare dei ravioli fritti ripieni di erborinato, da mangiare con una composta senapata. Il risultato è spettacolare, vi assicuro e mi piace pensare che dalla base di una ricetta così tradizionale e antica se ne possa creare un'altra  moderna e innovativa. Provatela e mi direte. Chissà se sarebbero piaciuti a zia Maria.

Raviolini ripieni di formaggio erborista con composta senapata
Ingredienti per 6 persone
200 gr di semolato rimacinato di grano duro
30 gr di strutto
acqua
sale
200 gr di formaggio erborista sardo
olio di arachiedi per friggere

Per la composta senapata
500 gr di frutta di stagione (pere, mele cotogne, cachi)
200  gr di zucchero (150 se si usano i cachi)
4 gocce di olio essenziale di senape o 2 cucchiaini di senape in polvere inglese

Per la composta, in una casseruolina mettete la frutta tagliata a pezzi e lo zucchero e fate cuocere per 10 minuti, frullate con il mixer a immersione  fate cuocere per altri 10 minuti, finché non otterrete la consistenza di una marmellata. Aggiungete l'olio essenziale di senape (facendo molta attenzione a non inalarlo, possibilmente fate questa operazione in un luogo aperto) o aggiungete la senape in polvere. Se volete potete invasare e sterilizzare come una marmellata.

Per i raviolini, impastate il semolato, lo strutto e aggiungete acqua leggermente salata e non fredda, finché non otterrete una pasta soda. Continuate a lavorare con i palmi delle mani per circa 10 minuti, finché la pasta non diventerà elastica e formerà delle impercettibili bollicine sotto le mani. Avvolgetela nella pellicola e fatela riposare mezz'ora. Stendetela sottile e tagliate dei cerchi di circa 8-10 cm. Farciteli con un cubetto di formaggio e chiudeteli bene sigillando i bordi. Friggete i ravioli in abbondante olio lasciandoli chiari e serviteli caldi con la composta.